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In direzione ostinata e contratria
11 January 2019
“Anime salve sono i solitari, quelli che stanno ai margini, perché ce li ha cacciati il sistema o perché l’hanno scelto loro. Salvi perché soli, perché liberi, perché lontani da questa civiltà da basso impero, dove i bambini vengono stuprati e gli adulti si arrabbiano solo quando gli rubi l’argenteria”.
Nella giornata in cui tanti amici fragili, in ogni luogo ed in ogni dove, hanno ricordato Fabrizio De Andrè a vent’anni dalla sua morte, anche L’Unitre – Sezione di Andria – su impulso della sua instancabile e appassionata Presidente, Maria Rosaria Inversi, ha voluto ricordare il poeta libero presso la sala Genius Loci. Un approfondimento culturale che ha visto gli interventi dei docente Unitre, Giuseppe Leonetti e Michele Lorusso.
Un viaggio imprevisto ed intriso di un turbinio di emozioni, nel quale musica e parole hanno permesso ai presenti di scorgere l’enorme sensibilità peculiare di Faber e resa eterna dai testi delle sue canzoni: parole pungenti, mai impertinenti miranti a diventare carezze per gli emarginati, gli ultimi, gli scarti, le puttane o i figli della luna.
Il M° Michele Lorusso, con le sue dita danzanti su un pianoforte e la sua voce, ha permesso alla canzone di Marinella di contagiare quel luogo scuotendo i tanti ascoltatori, permettendo loro di attualizzare quel testo e quindi magari di toccare l’umanità di una donna costretta a vendere il proprio corpo: una donna-oggetto che un bel giorno viene rapinata e gettata in un torrente. Marinella e la sua storia che ha la forza di irrompere ancora nelle nostre “lucenti”, e a tratti ipocrite esistenze, imponendoci di abbandonare il terreno del pregiudizio per approdare nel porto sconfinato dell’ascolto di storie attuali che il perbenismo esasperato tende a relegare nel cono dell’indifferenza.
Ecco di parola in parola il viaggio prosegue per arrivare a scontrarsi con altre storie umane: “Bocca di Rosa”: “La chiamavano Bocca di Rosa, metteva l’amore sopra ogni cosa”. Fabrizio De Andrè l’osservatore curioso del mondo esterno capace anche di raccontare i volti con cui lui stesso ha condiviso momenti unici durante la sua esistenza. “Bocca di Rosa – dichiarava De Andrè – è una canzone che parte da un episodio vero della mia vita avvenuto nel 1962 a Genova. Il paesino di Sant’Ilario è in realtà la stazione di Nervi fu lì che sbarcò la mia Bocca di Rosa, proprio come nella canzone lei faceva l’amore per passione e non per denaro”.
L’amore - termine così inflazionato ma poco applicato nella società di ieri e oggi dove la violenza e l’arroganza hanno sempre l’ultima parola sulla sensibilità e la dolcezza - è stato la stella polare del cantautore genovese: quelle stessa luce accecante che squarcia il buio dei recinti chiusi lo ha spinto a raccontare di un amore omossessuale: Andrea – Ai Figli della luna: “ Questa Canzone la dedichiamo a quelli che Platone chiamava, in modo poetico, i figli della luna; alle persone che noi chiamiamo gay oppure, per una strana forma di compiacimento, diversi, se non addirittura culi. Mi fa piacere cantarla così, a luci accese, a dimostrare che oggi si può essere semplicemente se stessi senza bisogno di vergognarsi”.
Si giunge così a scontrarsi con quel babbo natale pedofilo che con tanta “naturalezza” ruba l’innocenza di una bambina.La “ Leggenda di Natale” altro inno contro l’infamia e la cattiveria di esseri umani, che pur di soddisfare le loro becere pulsioni annientano innocenti esistenze: la pedofilia male attualissimo e così presente nelle nostre strade e nelle nostre ovattate sacrestie:
“E venne l’inverno che uccide il colore
E un babbo natale che parlava d’amore e d’oro e d’argento splendevano i doni
ma gli occhi eran freddi non erano buoni”.
Questo viaggio intenso, tra la musica e le parole di colui che oggi fa compagnia a tanti amici fragili durante le loro fughe su un’autostrada qualunque, arriva al termine fermandosi all’ultima stazione con Don Andrea Gallo:
“È vero, Faber, di loro, degli esclusi, dei loro «occhi troppo belli», la mia Comunità si sente parte. Loro sanno essere i nostri occhi belli.
Caro Faber, grazie!
Ti abbiamo lasciato cantando Storia di un impiegato, Canzone di Maggio. Ci sembrano troppo attuali. Ti sentiamo oggi così vicino, così stretto a noi. Grazie”
Ciao Faber